(Report del concerto a Milano del 17 Luglio 2014)

Una serata calda di piena estate a Milano. Il cielo azzurro sfuma verso il blu della sera, nessuna nuvola, gli aerei passano con un rombo lontano, ovattato. C’è attesa, emozione, l’aria è frizzante. C’è il palco pieno delle sedie per l’orchestra, e proprio al centro, piccola e sottile, l’asta del microfono.
Siamo allo Short Summer Tour di Franco Battiato: dopo le date a Marostica (11 luglio), Roma (14 luglio) e Siena (15 luglio), il cantautore con l’Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini approda a Milano.

Lo spettacolo inizia con il concerto per santur – strumento a corde della tradizione classica iraniana – violoncello e archi di Lamberto Curtoni: preludio intrigante che ci cala rapidamente nella giusta atmosfera, mentre il cielo passa del tutto al blu della notte ed alcune stelle iniziano ad emergere nel buio. E con le stelle, emerge anche Franco.

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Accovacciato sul basso divano di ispirazione orientale, senza preamboli attacca con il brano d’apertura, Secondo imbrunire. In men che non si dica ci prende, ci ammalia e ci porta via, lontani da lì… anzi no! È esattamente il contrario: ci trasporta proprio lì, nell’istante, nel momento presente, nel “qui e ora”. Con la sua voce a farci da guida, per le quasi due ore di performance siamo attenti, consapevoli, “svegli”. Come lui stesso ripete nei sui testi, siamo “nella luce”. È una sorta di piccolo miracolo, che ci strappa con energia – eppure anche con leggerezza e delicatezza – al torpore del quotidiano ed alle divagazioni del pensiero. Una forza trascinante, data dall’unione del ritmo, del fantastico accompagnamento sinfonico, del sapiente mix di sound analogici e digitali.

Mescolata con maestria da Franco, che ci sprona, ci sfida e ci sorprende con la sua interpretazione diretta e personale di ogni brano, con la sua eloquenza fatta di proporzioni precise eppure artistiche, costruzioni e respirazioni armoniche di ottave che si intersecano, si trasformano e si completano. Un’alchimia, senza mezzi termini.

L’alchimia dei testi e dei gesti, una musica nella musica fatta di silenzi e canto, vibrazioni e pause, un ritmo universale che ci innalza collettivamente ad uno stato superiore. Quasi una magia che lentamente si spande dal palco al pubblico, senza resistenze.

Avete presente le crocchette di verdure a forma di animali o di lettere? Sono una manna dal cielo per molte mamme, che sfruttando la forma giocosa riescono a far mangiare ai figli spinaci, carote e patate. Ecco, con Battiato mi ritrovo spesso a pensare che accade proprio la stessa cosa: nascosto nelle melodie orecchiabili, un messaggio profondo, un invito alla riflessione, un’inflessione quasi mistica arriva e colpisce, risveglia, superando d’incanto le resistenze del pubblico.

Scaletta parziale della serata, scandita da alcuni dei maggiori successi dagli inizi ad oggi: Fatti non foste per viver come bruti, Testamento, Te lo leggo negli occhi, Niente è come sembra, Prospettiva Nevskji. Impreziosiscono i momenti centrali dello spettacolo la versione per pianoforte de La cura e il medley di Fornicazione con No Time No Space. Poco dopo le undici, dopo l’uscita e il ritorno sul palco di rito (anzi, due uscite e due ritorni), il gran finale della performance ci porta tutti sotto al palco, in piedi a ballare alcuni tra i brani più amati: Gli uccelli, L’era del cinghiale bianco, Voglio vederti danzare e Cuccurucucu. Tutti, nessuno escluso, usciamo dal concerto carichi, emozionati e un poco disorientati, con un’esperienza piacevole e profonda aggiunta al nostro personale bagaglio. Magia del linguaggio universale. E magia del grande Battiato, che lo sa comprendere e parlare così bene.



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1 Comment

  1. Battiato emoziona ogni volta…

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